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Campane a Sacca e Sangiugna

Giovedì 10 Marzo 2011


Le campane della fonderia Crespi nella chiesa di S.Giorgio a Sacca e nella chiesa di S.Salvatore a Sanguigna.
Video di ducale 75 su YouTube

FONDERIA CRESPI
Famiglia di fonditori cremaschi attivi fin dal XV secolo, con una campana accertata del 1498 riportante il nome Crespi(1).
Membro illustre fu Domenico Crespi (1703-1765) fonditore di ottime campane, tra le quali quelle del Duomo di Crema, e costruttore di orologi. La sua attività lo portò a diversi spostamenti, tra gli ultimi in territorio veronese che frequentò dal 1754 al 1758.
Da scritti del sacerdote cremasco Angelo Zavaglio(2) si legge “dall’officina Crespi per circa un secolo e mezzo dal 1750 al 1898, anno in cui cessò, uscirono ammirati concerti che andarono a rallegrare borgate e villaggi del cremonese, del bergamasco, della Brianza e del milanese…”


marchio di Domenico Crespi


Nell’800 troviamo Giovanni a capo della fonderia per poi passarla nell’ultimo decennio del secolo ai figli Alcide e Calisto, mentre un altro figlio, Giacomo III, emigrò a Spalato (Croazia) aprendo una fonderia in società che portò il nome “Crespi–Jakov Cukrov” che proseguirà col figlio Sigismondo Giuseppe fino al 1928.
Nel frattempo nella fonderia della città natale, situata presso Porta Ombriano (che non chiuse come riporta erroneamente lo Zavaglio, ma fu solo ridimensionata nelle attività) ad Alcide Crespi si susseguì il figlio Remigio Marco.
Il figlio di Sigismondo Giuseppe, Giacomo IV, che tornato in Italia già aveva avviato una fonderia di ghisa a Milano nel 1933 e una di bronzo a Sanpierdarena nel 1937, decise di riaprire la fonderia di campane a Spalato nel 1938 con il nome “Fonderia di campane Giacomo Crespi”.
Ritornò a Crema dopo che il governo juguslavo requisì la fonderia di Spalato nel 1944 aprendo una sua fonderia con i restanti parenti continuando l’antica tradizione fusoria cremasca dei Crespi fino al 1958.
Nel 1959 emigrò con tutta la famiglia in Brasile fondando la fonderia Crespi–Marenco con il genero Sergio Marenco.

Testo a cura di Marvin Corno